PEDALA MICHELE !
(racconto breve)
Il
cigolio degli ingranaggi senza grasso accompagnavano Michele in quei budelli
che fungevano da vicoli fra le baracche. Pozzanghere unte si succedevano a
ristagni di acqua lurida e non c’èra il tempo di fermarsi e scrollare dai
pantaloni il sudiciume che si accumulava.
In
quella zona della città le giornate erano tutte uguali con o senza il sole.
Nessuno degli abitanti aveva la voglia di godersi la natura. Di questa grande
madre qui non c’era traccia: niente alberi, nessun fiori, né una fontana, e
nemmeno uccelli.
Messina viveva
una delle sue solite giornate piatte. Ai cittadini non importava nulla,vivendo
questo stato di apatia quasi con coscienza e con la rassegnazione di chi ha
affidato il proprio avvenire ad inetti,
forse da sempre.
Ciò
che la città così detta civile rifiutava, era concentrato in quelle misere
abitazioni: blatte, topi, zanzare , puzze diverse, schifezze varie. Questa era
quella parte della natura della quale godevano quei cittadini di serie C.
Arrivato
sulla soglia dell’abitazione di Maria, con una leggera spinta aprì la porta
fatta da faisite e compensato e pose sul tavolo di plastica la borsa.
“Maria non c’è” ; si sentì flebile la voce della signora Carmela dal
letto. “ E’ andata dal medico per le
solite medicine”. Un violento colpo di tosse le impedì di continuare a
parlare.
Michele
le si avvicinò , la sollevò dalle spalle
e le porse un vecchio sgualcito
fazzoletto che la donna teneva su una sedia di rafia, sulla quale un vistoso buco
consigliava prudentemente di non sedersi.
Michele
era un ragazzino di diciotto anni compiuti da poco, fisico asciutto, bruno,
occhi verdi, figlio di un notaio. La madre lo aveva lasciato orfano a dieci
anni ed il padre , quarantenne, si era subito consolato con un’altra donna della
Messina bene, figlia di un noto imprenditore cittadino.
Maria,
quattordicedicenne, viveva in una delle centinaia di baracche che il terremoto
del 1908 aveva lasciato in eredità ai Messinesi per responsabilità dei politici
e dei governanti che quasi in un secolo avevano elargito solo promesse di
eliminare quelle vergogne. Fiumi di parole e di denaro pubblico sperperati su
quella povera gente ormai giunta, in quelle topaie, alla terza generazione. In
quel tugurio la ragazzina accudiva alla propria madre perennemente ammalata di
bronchite, con le ossa pervase da artriti e artrosi che lentamente la stavano
consumando. La povera signora passava più tempo a letto che in piedi , anche se
la permanenza in quell’ambiente le cagionava maggior danno che una vita all’aria
aperta.
Maria
era magra, la carnagione chiarissima mascherava quel pallore che la vita che
conduceva le procurava. Gli occhi neri,
i capelli nerissimi, sottili e lucidi le facevano risaltare ancora di più i
dolci lineamenti del viso. Nonostante i pochissimi vecchi vestiti riciclati era
sempre pulita e ordinata e così cercava di mantenere quella baracca ereditata dalla
sua bisnonna. Rimasta da qualche mese orfana del padre che faceva il rigattiere, viveva con
la madre, che quando poteva andava a servizio.
Non aveva mai
pagato tasse, tributi vari e nemmeno la corrente elettrica . Conoscendo lo
stato in cui viveva, nessuno dei vicini le aveva mai chiesto di pagare la sua
parte, anche perché, forse, l’allaccio era abusivo come tanti. Ma considerando che
difficilmente avrebbe potuto pagare, il problema lei non se l’era mai posto.
I
due ragazzi si erano conosciuti a scuola dove fortunatamente, le classi sociali
ormai erano , quasi da tutti, considerate una discriminante anacronistica; lei
faceva il primo e lui era di maturità, anche se
con un anno di ritardo perché ripetente. Michele infatuatosi della
ragazzina si era mostrato subito disponibile ad aiutarla a superare le
difficoltà che quotidianamente Maria doveva affrontare. Di nascosto al padre e
alla matrigna, ogni giorno aveva qualcosa per lei o per sua madre e, non di
rado, anche per i vicini di casa, alcuni dei quali cominciavano a chiedere,
quasi a pretendere.
Con
la scusa di andare a studiare dai compagni di scuola o all’oratorio, quasi
tutti i pomeriggi usciva; nel viale S.Martino prendeva il mezzo pubblico fino
alla zona del policlinico, dove, nel retrobottega di un amico, teneva una
vecchia bici con la quale si inoltrava nel dedalo degli angusti spazi che
dividevano le baracche.
Maria,
ovviamente era felice di questa amicizia e ricambiava l’affetto che Michele non
mancava di dimostrarle quotidianamente.
Un
giorno il ragazzo , puntuale nonostante la pioggia, trovò la casa vuota.
Da una vicina
venne a conoscenza che la signora era stata ricoverata d’urgenza al policlinico
per un improvviso aggravamento del suo stato di salute. Tornò indietro e, non
conoscendo i termini e le divisioni per patologie dei padiglioni, faticò non
poco a trovare quello giusto, ma della signora Carmela nessuna traccia. Su suggerimento di un visitatore ritornò al
pronto soccorso. Maria era lì a fianco della madre, che aspettava la visita.
Michele si mise il vestito da uomo e chiese prima ad un infermiere e poi ad un
medico quanto ancora dovesse aspettare quella signora che cominciava a respirare
con fatica. Nessuno gli diede retta, finchè passò un ragazzo con il camice da
medico, che vedendo la donna in affanno, subito si avvicinò. Si rese conto
della gravità della situazione e chiamati gli infermieri, cominciò ad interessarsi
di lei. Si presentò come un tirocinante. Il medico di servizio su
sollecitazione del giovane , dopo una
breve visita e le cure più immediate, ne dispose subito il ricovero,
diagnosticando una broncopolmonite in fase acuta.
“Che significa” chiese subito Michele al tirocinante.
“E’ tua madre”? gli rispose questi
Michele temendo che non gli
dicessero nulla, annuì. “ Significa che è
grave ed ha bisogno di una terapia d’urto immediata ed energica”.
“Ma grave quanto?” chiese Michele preoccupato
“Grave” rispose l’altro. I due seguivano la barella alla quale si
era attaccata Maria che teneva la mano della madre. Arrivati al reparto, il
tirocinante cercò il medico e quindi la caposala per consegnare il referto del
pronto soccorso ed assistere la signora. Il gruppetto aspettava; gli sguardi dei quattro si incrociavano in un
eloquente ma silenzioso desiderio di sapere.
“Come ti chiami” ?
“Michele, lei è Maria e la signora è mamma Carmela”
“mamma di chi ?” chiese il tirocinante
“E lei come si chiama ?” continuò Michele come se volesse prendere
tempo per non rispondere alla domanda
“Io mi chiamo Giuseppe, per gli amici Beppe. Se ti va puoi considerarmi
un tuo amico”
“Certo, perché no?” rispose dimostrandosi lusingato il ragazzo.
“ E pure tu Maria, puoi chiamarmi Beppe” così dicendo le porse la
mano che la ragazza strinse forte, come per cercare tranquillità.
“Ora che siamo amici, potete dirmi come stanno le cose, io credo che tu
e lei non siete fratello e sorella”
“Va bene” sospirò Michele “
la signora è la mamma di Maria, io sono solo un amico” e quindi continuò “ ma se siamo amici come hai detto, ti prego
di considerarmi uno della famiglia altrimenti potrei avere difficoltà a stare
loro vicino; sai, sono sole, non hanno parenti, e diciamo che io mi sento l’unico
uomo della famiglia”
La ragazza annuiva e sorrideva.
“ E’ il piccolo nostro segreto” , fu la risposta di Beppe. La
discussione fu interrotta dalla caposala e poi da un infermiere che, senza
nemmeno salutare, riprese a spingere la barella fino alla corsia.
Il
gruppetto rimase unito ed assistette alla compilazione della scheda con i dati
che parte fornì, con grande fatica la signora, e parte la figlia. Michele e
Beppe guardavano da un’altra parte per
evitare di essere coinvolti in quella specie di interrogatorio.
Il
medico del reparto, intervenuto nel frattempo, dopo aver letto il foglio di
ricovero ed aver sentito il tirocinante, dispose l’immediata esecuzione degli
accertamenti clinici e diagnostici che il caso richiedeva. Comunicò ai ragazzi
che non sarebbe stato possibile assistere direttamente la madre, ma che
potevano stare comunque tranquilli in quanto non le sarebbe mancato nulla. In
ogni caso, il tempo giornaliero stabilito per le visite sarebbe stato loro sufficiente
a rendersi conto della situazione.
Beppe assicurò
i due ragazzi sulla sua costante
presenza ed assistenza.
Ventitre
anni fatti, disse che era al quarto anno di medicina e stava già preparandosi
per discutere la tesi. Sembrava decisamente
bravo come uomo e ben promettente come medico . Questa era la
convinzione che si era fatta la ragazza
nella quale era nata una istintiva simpatia verso quel giovane che pareva
ricambiare gli stessi sentimenti.
Maria
e Michele tornarono a casa di lei.
Quell’apparente
tranquillità infusa da Beppe, si tramutò in meraviglia e quindi in disperazione
per la ragazza quando, entrando in casa la trovò saccheggiata. I pochi arredi
aperti e svuotati. Le misere cose buttate per terra. I pochi vestiti
calpestati.
“Ma cosa è stato?” esclamò Michele
Maria
non disse nulla, si gettò sul letto e si mise a piangere; fra un singhiozzo e
l’altro ripeteva “ sicuramente sarà stato
lui, ancora lui, ma cosa vuole da me, da mia madre, perché non ci lascia in
pace?”
“Lui chi?” rispose Michele
La ragazza continuava a piangere
senza dire nulla. “Ma insomma mi vuoi
rispondere?” riprese lui.
Dopo essersi asciugati gli occhi
con la mano, Maria si sedette sul letto e con un cenno invitò l’amico a
mettersi a fianco a lei, cosa che quest’ultimo fece senza farselo ripetere.
“Mia madre ha un fratello di
dieci anni più giovane e quindi di ventuno anni. Da quando ne aveva sedici è andato a vivere da solo in un’altra
baracca insieme ad un suo coetaneo, rimasto solo a seguito dell’arresto dei
genitori per spaccio di droga, furto, scippo etc. Facevano parte di un gruppo
di immigrati clandestini provenienti nemmeno io so da dove; non sono mai
riuscita a capirlo. Mia madre sa che quella buonanima di mio padre, che tanto
buono non era, facendo il rigattiere aveva accumulato un bel po’ di denaro
sulla cui quantità nessuno ha mai saputo nulla”
“E dov’è questo denaro ora, in quale banca?” l’interruppe Michele.
“Ma quale banca? Lui diceva sempre che i veri ladri erano nelle banche
e che quindi il posto più sicuro era in casa. Mia madre è certa che lo teneva
nascosto qui dentro, ma nonostante gli spazi siano tutti a vista, non siamo mai
riusciti a trovare nulla.”
“ Scusami e quella specie di zio come sa dell’esistenza di questi
soldi?”
“Perché mio padre quando era ubriaco sparlava e per sparlare si è
distratto ed è rimasto schiacciato sotto una massa di ferri vecchi morendo sul colpo. Quel delinquente sa e,
appena, trova l’occasione, viene a rovistare sperando di trovare qualcosa”.
“Ma se sei sicura che questi soldi sono qui dentro, bisogna cercarli
con più attenzione” continuò Michele alzandosi e guardandosi intorno. Tutto
ciò che doveva vedere però era a portata d’occhio, non vi erano altri vani con
esclusione di un piccolo wc con annesso lavandino ed un braccio doccia che
sgocciolava per terra e scaricava direttamente fuori attraverso un tubicino di
plastica.
Il
ragazzo si guardava intorno cercando di immedesimarsi nella mente della
buonanima per capire quale, secondo lui, poteva essere un posto sicuro. Dopo un
po’ disse “ ma stasera che fai resti da
sola? Io non ti lascio dopo quello che è successo”.
“Non preoccuparti non è la prima volta che succede, sono rimasta da
sola anche quando ero più piccola e mia madre faceva la badante”.
“Ma ora sei una donna quasi fatta, e sappiamo bene tutti e due che
l’ambiente che ti circonda non è dei più sicuri”.
“Per te forse, ma per me che sono nata e cresciuta qui non ci sono
pericoli, a meno che…..”
“A meno che?” riprese il ragazzo.
“A meno che non venga gente da fuori zona, e per la verità qualcosa di
spiacevole già è successa”
“Allora adesso facciamo un po’ d’ordine, chiudiamo qui e vieni con me”
“Vengo con te? E dove mi porti?” Continuando con un sorrisino
malizioso “ facciamo la fuitina? Ormai
non è più di moda”.
“Ma che fuitina?Ti porto a casa di un amico mio; qui vicino ha un
negozio con sopra un appartamentino vuoto”.
Fra reciproci
sorrisi e sospiri , in pochi minuti rassettarono ciò che si poteva. Nonostante
non lo dicessero ambedue avevano premura
di trovarsi in un posto sicuro, da soli.
Salirono
quelle scale quasi come due clandestini anche se l’amico li aveva autorizzati.
Michele aveva telefonato ai suoi avvertendoli che per quella notte sarebbe
rimasto a dormire dal suo amico; non essendo la prima volta, la cosa era
passata senza particolari patemi d’animo.
Nonostante
si conoscessero da quattro mesi, non era mai capitato che si trovassero soli in
un camera da letto matrimoniale. Non potevano immaginare che la timidezza
potesse condizionarli a tal punto da farli andare a letto vestiti.
Si
guardavano negli occhi con le teste che scivolando sui cuscini erano sempre più
vicine, fino a quando le loro labbra si sfiorarono, si unirono. Di colpo fu come se fossero esposti al sole di agosto in una spiaggia
isolata con il mormorio del mare e il
canto dei gabbiani che sembrava dolce come quello delle capinere. Si tolsero i
vestiti lentamente , un capo alla volta ma sempre con meno timidezza. La pelle
bianca di Maria, i seni piccoli ma turgidi con i capezzoli rosei e irti si
contrapponevano al dorso di Michele nel quale i pettorali e gli addominali
percorsi da un rivolo di morbidi peli , mostravano un uomo quasi maturo.
Il
mattino li colse raggianti. Il sole era già alto e nemmeno il casino del
traffico delle ore di punta era riuscito a svegliarli prima. Erano le undici e
dovevano andare al policlinico a trovare mamma.
A
mezzogiorno si trovarono nel reparto. Carmela li mise al corrente sugli
accertamenti eseguiti fino a quel momento e dei quali comunque non aveva ancora
alcuna notizia.
Rimasero
lì fino alle quattordici. Due ore sufficienti a mettere al corrente la signora
su ciò che era successo a casa e a studiare eventuale rimedi.
Non
volendo denunciare il proprio fratello, anche se delinquente, Carmela non seppe
dare alcuna indicazione sull’eventuale nascondiglio ma anche lei era certa che
questi soldi da qualche parte dovevano essere “ tuo padre, pace all’anima sua, non mi ha mai reso partecipe delle sue
attività né tanto meno mi ha mai informato sui suoi guadagni. Mi dava tanto
quanto bastava per sopravvivere. Era un tirchio e molti soldi li investiva al
gioco e a puttane senza contare le sbornie che lo accompagnavano quasi ogni
sera”. Diceva queste cose con tristezza ma anche con una stizza di rabbia.
“Io ho un’idea” disse Michele “ mentre lei è in ospedale, noi smonteremo
la casa e faremo una ricerca accuratissima, palmo per palmo. Tanto per ora
abbiamo dove dormire e per mangiare ci arrangeremo per un paio di giorni”.
Non
potendo fare altro, Carmela acconsentì, raccomandando ai due ragazzi di stare
attenti sotto tutti gli aspetti.
Quel pomeriggio stesso cominciò
il controllo minuzioso della baracca. Furono accatastati i pochi mobili,
smontata la cucina, battuto il pavimento palmo a palmo per cercare eventuali
vuoti. Nulla, non fu trovato niente. Stanchi, sporchi e sfiduciati decisero di sospendere
e riprovare il giorno dopo.
Michele prima
di uscire si volle fare una doccia. Mentre l’acqua scivolava sulla testa che teneva curva in
avanti, notò che non tutta veniva
smaltita attraverso quello scarico che dava direttamente fuori; si abbassò e si accorse che dalle
fughe delle mattonelle salivano minuscole bollicine che si notavano solo in
assenza di sapone. Grattò con il dito in mezzo a quegli spazi e vide che sotto
una leggerissima patina di cemento vi era una rete a maglie sottilissime che
sembrava di acciaio.
Subito chiuse l’acqua, chiamò Maria
, si fece portare un giravite ed un martello e scoprì che sotto le mattonelle
vi era una struttura in alveolato formata da mattoni forati protetti da una guaina in carta catramata. Ruppe tutto e trovò che
all’interno di ogni foro dei mattoni vi erano arrotolate banconote da 50,
100 e 200 euro. Ridendo, quasi
nevroticamente, estrassero tutti i mattoni avendo cura di non rompere le
piastrelle del pavimento; otto mattoni avevano i vuoti riempiti da banconote
arrotolate di vario taglio , tre erano ancora vuoti. Si assicurarono che la
porta e le due finestre fossero chiuse e quindi si misero a sistemare per terra
le banconote dividendole per tipo. Alla fine contarono 185.000 euro. Non era
una grande cifra ma più che sufficiente per soddisfare alcune esigenze primarie
della piccola famiglia. Non potendo aprire un conto in banca perché la signora
Carmela era ancora impossibilitata a farlo, sistemarono i soldi in una borsa di
Carmela e non senza timore si trasferirono nell’appartamento dell’amico.
“Bisogna dirlo a tua madre” disse
Michele
“Ma i soldi li lasciamo qui? E se le chiavi
ce li ha qualcun altro?”
“Non preoccuparti, da tua madre andremo uno
alla volta. Per stasera ormai ce ne staremo dentro. Domani tu andrai
all’ospedale ed io resterò di guardia qui”
Maria lo
guardò seria “ Ma che hai non ti fidi?”
la richiamò Michele.
“Certo che mi fido, perché non dovrei? Stava
pensando a quello stronzo di mio zio. Aveva ragione e sapeva”.
La notte passò
insonne. Lei faceva programmi che riguardavano sia lo loro vita insieme sia
l’utilizzo di quei soldi. Verso l’alba il sonno ebbe ragione e i due si
svegliarono in tarda mattinata.
A mezzogiorno Maria andò a trovare
la madre. Lì trovò Beppe che stava cercando di spiegare a Carmela i risultati
delle analisi e degli accertamenti avendo cura di non allarmarla
eccessivamente.
Quando ebbe
l’occasione chiamò la ragazza nel
corridoio e la mise al corrente sul gravissimo stato nel quale si trovava la
donna. Il giovane medico fu molto chiaro e non nascose la possibilità di altre conseguenze
se non le fossero assicurate con costanza tutte quelle cure che il caso
richiedeva soprattutto una volta dimessa dall’ospedale, nel quale, comunque
sarebbe dovuta rimanere ancora alcuni giorni.
Poi, visto che
era sola, si offrì di accompagnarla a casa. Maria non voleva, si vergognava a
portarlo nella baracca: “ Guarda che so
dove abiti, tua madre mi ha detto tutto. Non preoccuparti anch’io vengo da una
situazione di degrado simile alla vostra, e pure sono qui. Con grande fatica e
grandi sacrifici dei miei genitori, sto cercando di inserirmi nella società che
conta . Ci sono quasi riuscito. Certo è difficile partecipare alle feste, alle
gite, ai divertimenti che i miei colleghi organizzano spesso; non sono nelle
condizioni economiche di reggere i loro ritmi. Ogni volta debbo inventare una
scusa per non andarci e ciò rischia di isolarmi da quel mondo che, in questa
bella ma triste città, comanda. Nelle scuole materne ed elementari i
genitori applicano una sorta di
selezione, inculcando nei bambini la convinzione di essere diversi e superiori
ai coetanei che vivono nelle zone emarginate. Indottrinamento che
poi, da adolescente e fino alla laurea, fortunatamente , scompare, anzi i
giovanissimi fraternizzano, solidarizzano, superano tutte quelle barriere sociali
che gli adulti hanno eretto. Poi man mano che
si cresce, queste barriere cominciano ad essere ricostruite e il triste
fenomeno si perpetua negli anni”
Maria ascoltò
con attenzione e il pensiero andò a Michele, a quella loro storia che stava
seguendo esattamente quel copione ormai consunto ma sempre attuale in quella
porzione del mondo messinese che viveva fra l’ipocrisia della media e alta borghesia
e la demagogia della classe politica.
I due si
avviarono verso casa e si addentrarono fra le baracche. Beppe , forse per non
mettere in difficoltà la ragazza, ostentava disinvoltura come se di quelle zone
fosse stato un frequentatore e lei ogni tanto lo guardava per scrutarne le
reazioni.
Arrivati alla
baracca, Maria si accorse che la porta era stata forzata, senza riflettere la
spinse ed entrò. Subito si sentì addosso due braccia che la strinsero. Beppe,
che le era dietro, istintivamente si gettò sull’energumeno ma fu colpito alle
spalle da un corpo contundente e cadde per terra svenuto. “Lo hai ucciso, farabutto, assassino” gridò la ragazza. Sulla porta
apparve un uomo di circa cinquant’anni, alto , barbuto, che avendo sentito
gridare si era avvicinato “Presto don
Lillo , presto” gridò Maria. Alla vista di quell’uomo i due lasciarono la
ragazza e guadagnarono la porta: “Li hai
trovati, lo so che li hai trovati, puttanella. Ritorneremo”.
“Ma chi erano? che volevano?” disse con
un vocione rauco classico dei fumatori incalliti Lillo.
“Era quello stronzo di mio zio e un suo
degno compare” disse la ragazza piangendo e toccandosi le parti doloranti. “Presto un po’ d’acqua per Beppe”, così
dicendo cominciò a bagnare la testa del ragazzo che era disteso per terra, lo
bagnava e lo accarezzava con lo sguardo sempre più tenero.
Lillo
guardando quella scena, visto che il giovane cominciava a prendere conoscenza,
preferì allontanarsi “ se non hai più
bisogno di me, me ne vado, ho lasciato la pentola sul fuoco”. “Grazie disse
lei” chiuse la porta e si precipitò su Beppe che stava riprendendo
coscienza. Quasi istintivamente gli poggiò per l’ennesima volta la mano sulla
guancia e quindi le labbra sulle sue; il ragazzo la cinse dolcemente. Dopo
qualche minuto lei si staccò “Grazie per
ciò che hai fatto, questo era un modo per sdebitarmi”.
Toccandosi la
testa sulla quale era spuntato il bel bernoccolo che lasciava uscire anche un
po’ di sangue, con fatica chiese: “ma chi erano? Cosa avresti trovato?”
“E’ una sua fissazione. Quello è il fratello
minore di mia madre; è mezzo sbandato, vive con un suo pari ed è convinto che
qui ci sia un tesoro”.
“Un tesoro”?
“si, dei soldi insomma, non ho ancora capito
chi li
avrebbe dovuto nascondere……. Ma tanto è matto”!
Il ragazzo si
sedette sul letto, Maria accanto cercava di consolarlo, ma anche lei era
dolorante. Beppe vistole alcuni lividi sulle braccia “ distenditi, fatti controllare, sono un medico, anche se non sto molto
bene, ancora sono in grado di capire”
La ragazza si
spogliò lentamente e si distese sul letto in slip e reggiseno. Un sorriso
malizioso si fissò sul quel volto e gli occhi luminosi erano un chiaro invito.
Il giovane cominciò a sudare, quel corpo tenero, bianco e perfetto era una
tentazione troppo forte. Le toccò le braccia e i polpacci là dove più visibili
erano le tumefazioni, quindi si asciugò la fronte con le mani e disse: “ niente, non c’è nulla…….fortunatamente è
tutto a posto… vestiti”.
“Ma come tutta qui la visita?”
“Senti Maria, ho un fortissimo mal di testa,
non farmela scoppiare completamente. Vestiti, fai quello per il quale sei
venuta qui e andiamocene, voglio medicarmi per bene questa ferita”.
La ragazza un
po’ delusa, ma ugualmente contenta, fece ciò che Beppe le aveva chiesto. Quindi
andarono nella farmacia più vicina, comprarono quanto necessario per la medicazione
e si diressero verso casa , passando prima in una bancarella di extracomunitari per
comprare un cappello sportivo.
Lungo la
strada il giovane ritornava con la mente a quanto era successo e cercava di
valutare il suo stesso comportamento. Aveva fatto la figura del fesso o
dell’uomo che cosciente delle minore età della ragazza era stato saggio?! Certo
non aveva sottovalutato il fatto che Maria, vivendo in quell’ambiente, avrebbe
potuto essere già emancipata ma era pur sempre minorenne e non conoscendola
ancora bene , la prudenza era la prima cosa da usare.
“Sei venuto altre volte qui?”chiese la
ragazza
“No, perché?” rispose Beppe
“Da come procedi, mi dai l’impressione che
sai già dove andare”
I due
arrivarono speditamente a casa dove Michele sembrava li stesse aspettando.
“Ma cosa è successo”? chiese allarmato
il ragazzo appena li vide.
“Nulla di grave” intervenne subito lei ” quello stronzo di mio zio che ancora
insegue quella sua idea matta del tesoro” e così dicendo strizzò l’occhio a
Michele.
Rapidamente
informarono il giovane sull’accaduto, quindi passarono alla medicazione della
ferita fatta dolcemente da Maria sotto le direttive del medico. Quindi Beppe,
con in testa quel cappello, lasciò i due giovani.
“Quello ritornerà” disse Michele,” bisogna fare qualcosa; ha capito che
abbiamo trovato i soldi. Per fortuna non sa quanti sono , ma ci inseguirà e ci
renderà la vita difficile”.
“Ma non possiamo denunciarlo”? chiese la
ragazza
“Si che possiamo, ma dopo due giorni sarà di
nuovo fuori e sarà peggio di prima.
Bisogna trovare un’altra soluzione, una soluzione che ci dia tranquillità per
sempre. Ora mangiamo qualche cosa, ci penserò”.
Il giorno dopo
Maria che si sentiva già donna con le responsabilità di una famiglia sulle
spalle, con un bel pò di soldi nei jeans andò al supermercato a fare spesa. Da
quattro giorni ormai non andavano a scuola e i genitori di Michele continuavano
a chiamarlo al telefonino. La risposta era sempre quella, “ non preoccupatevi, recupererò”.
Beppe era
all’università come quasi ogni mattina. Rispose al telefonino: “ ah sei tu? Certo, sta andando tutto
bene…….no, non ce l’ho fatta. Non dirmi che tu, invece…. e che si geloso! Fino
ad oggi abbiamo fatto tutto insieme, ora però bisogna chiudere, la cosa sta
andando troppo per le lunghe. Lei dov’è adesso? Ma sa chi sei? Ah bene. Certo,
certo che siamo stati bravi ma anche fortunati. Va bene ora procedi, fai ciò
che avevamo concordato”.
Dopo un paio
d’ore la ragazza ritornò a casa, ma non riuscì ad aprire più il portoncino. Un
rapido sguardo al cilindretto della serratura le consentì di capire che era
stato cambiato. Bussò con insistenza, chiamò Michele. Niente nessuna risposta.
Chiamò al telefonino: irraggiungibile.
Aspettò tutta
la mattinata, finché decise di portare le borse nella sua baracca ed aspettare
lì. Sicuramente Michele l’avrebbe cercata. Verso le tredici andò a trovare
mamma che stava migliorando. Quella mattina, stranamente , non si era visto
nemmeno Beppe. “Può darsi che abbia avuto
da fare, un medico, anche se giovane, è sempre impegnato” disse Carmela.
In un bar
vicino Beppe e Michele stavano mangiando una focaccia, sul tavolo due birre e
due bicchieri. “ Ora che facciamo? Non
possiamo mettere i soldi in banca.” disse Michele.
“Ma che banca.. mettà ciascuno e via. Ti
ricordi eravamo seduti qui, quando venne Maria e sua madre a cercare il
rigattiere. Lui era qui a fianco e,
ubriaco, disse che se non l’avessero smesso di trattarlo come un demente non
avrebbe rivelato il nascondiglio dove teneva nascosti i soldi”.
“Ma sei sicuro che Maria non sa nulla di
te”?
“Certo che sa tutto. Tutto ciò che io le ho
detto. Le notizie necessarie per non trovarmi” rispose Michele
“ma non ha foto, telefono”?
“foto no, il telefono? L’ho cambiato,
figurati con tutti quei soldi. Il vecchio l’ho schiacciato.”
“E se Maria ti denunciasse” chiese Beppe
“Mi pare difficile che una ragazzina delle
baracche possa far credere alla polizia che uno come me, ammesso che mi
rintraccino, possa essere implicato in una favola di tesori nascosti. E’più
semplice credere ad un ricatto da parte sua, non credi?” sentenziò
tranquillamente Michele.” Anche tu però
sei stato bravo, quei due anni di iscrizione in medicina ti sono serviti. Certo
che se avessi continuato, magari oggi saresti un bravo medico. Ma dimmi come
mai riesci a girare tranquillamente con il camice fra i reparti?
“ Ho ancora il tesserino di studente e poi
con la confusione che c’è , andando raramente nessuno mi chiede chi sono e
comunque non avrebbero il tempo di verificare”.
“E tutto un bordello” concluse Michele.
“Intanto, per poco non mi ammazzava quel
coglione dello zio di Maria”
“In tutto c’è qualche imprevisto” .
Maria era
ritornata a casa. Scese la sera. Sembrava più buia del solito, la baracca più
triste, più sporca, più spoglia; di Michele nessuna notizia.
Bussò alla
porta il sig Lillo che, senza attendere molto, aprì e d entrò.
“Ah è lei don Lillo entri pure “disse la ragazza.
“Ero venuto per chiederti notizie sulla
salute di quel giovanotto che ha preso il colpo in testa.”
“Credo stia bene; però è da stamattina che
non lo vedo”
“E’ da parecchio che lo conoscevi?”
“No, si è presentato qualche giorno fa in ospedale,
quando ho ricoverato mia madre”
“Ma come”? disse sorpreso Lillo “Se io l’ho visto gironzolare qui almeno un
paio di volte in questo ultimo mese”
Maria si fermò
a pensare. In effetti c’era qualcosa che non andava, troppe coincidenze, troppe
confidenze improvvise, troppo affetto. Eppure sembravano due ragazzi educati, a
modo, prudenti. Si, questa era stata la loro arma vincente. I modi educati a
cui lei non era abituata. Quegli atteggiamenti dolci e desueti in
quell’ambiente l’avevano ingannata.
Si sedette sul
letto, riprovò per l’ennesima volta a
fare il numero di telefono di Michele:”il numero è inesistente”. Due grosse
lacrime bagnarono quella minuscola tastiera.
Fra un
singhiozzo e l’altro raccontò a Lillo cosa era successo.
“Tu e tua madre non potete rimanere sole
come me” azzardò timidamente l’uomo”
avete bisogno di qualcuno… di un uomo che vi protegga”.
Maria alzò gli
occhi pieni di lacrime , lo guardò un attimo e poi aggiunse con un timido
sorriso “ Ha provato mai a tagliarsi la
barba ed a vestirsi più decentemente?”
Lillo divenne
rosso dalla vergogna e sparì. Maria continuò a pensare e a cercare una
soluzione per recuperare quei soldi che
suo padre bene o male aveva sudato, senza venire a capo di nulla. Era certa che
una denunzia si sarebbe rivelata inutile e non sapeva come dare la notizia a
sua madre.
Dopo circa
un’ora, bussarono alla porta, andò ad aprire e sulla soglia vide un uomo pulito
di bella presenza, alto, ben vestito . Dopo un attimo riconobbe Lillo “ ma porca miseria, si accomodi sembra un
altro” disse meravigliata “ si giri,
si faccia vedere”.
Lillo contento,
non si tirò indietro e fece passerella, forse aveva abusato con il profumo, ma
andava bene lo stesso. “Domani andiamo a
trovare mia madre, vedrà sarà felice di vederla”.
Dopo una
settimana Carmela, ormai fuori pericolo, lasciò l’ospedale e andò a vivere con
Lillo per la felicità di Maria che si sentiva più protetta, mentre una televisione
locale dava la notizia dell’arresto di una banda di giovani , figli dell’alta
borghesia, dedita alle truffe. Fra le foto riconobbero Beppe e Michele. Tramite
un buon avvocato riuscirono a recuperare ciò che rimaneva dei soldi, ancora un
gruzzoletto sostanzioso che unito ai risparmi di Lillo consentì loro di
acquistare un appartamentino in condominio. Finalmente una famiglia, una casa.
Dietro le
tendine pulite di una finestra in legno con le persiane , Maria guardava lo
stretto; quel mare che dalla baracca non avrebbe mai potuto vedere; il via vai
dei traghetti che da cinquant’anni erano sempre gli stessi anche se con qualche mano di vernice
in più e poi la Madonnina che domina
l’ingresso del porto e, perplessa, leggeva “Vos et ipsam civiatem benedicimus”.
Ricordava Michele che andava a trovarla nella baracca in bici. Era un bel
ragazzo della Messina bene e, per andare da lei, pedalava tutti i giorni.
FINE
LA TELEFONATA
(racconto brevissimo)
«Pronto... Sei tu cara? Come stai? Che piacere sentirti».
Breve pausa, durante
la quale la nostra amica annuisce e sorride.
«Sì sì, …no, non preoccuparti, tu non disturbi mai».
Sempre con il telefono
stretto all’orecchio si alza e si muove per il locale nel quale si trova
«Sì? Non mi dire… quindi sei andata dallo specialista per quel controllo
all’orecchio e che ti ha detto?»
«Allora adesso devi fare questa cura per quindici giorni? »
«Meno male che è una semplice otite, pensa se fosse stato come quella di
tua sorella. Mi ricordo, sai, tutto quel liquido schifoso che le usciva
dall’orecchio… due mesi di cura e pure forte…quante punture poveretta».
«Sì? Vero? Come mi di spiace. Certo deve essere un bel fastidio
poveretto, lui che è abituato a lavorare come un mulo, certo …certo… ma cosa ha
mangiato? Sai perché la maggiore causa delle emorroidi è l’alimentazione e per
la verità tuo marito non è che si sa trattenere. Detto in confidenza quando
si siede a tavola, come dici spesso tu, è un porco. E poi sapendo che soffre
pure di coliciste, che ha il fegato ingrossato ed un pò diabetico, farebbe
bene a trattenersi. Ah, senti, poi con la cura per quel disturbo ai polmoni
cosa ha fatto? – pausa– Nulla? Quindi
la notte non ti fa dormire per la tosse e… – aggiungendo una risatina
maliziosa – …niente sesso! Sapessi quanto
mi dispiace!»
Si risiede e accavalla
le gambe.
«Certo, certo, hai ragione poverina. Sì, può essere un fattore
genetico se anche tuo cognato ha gli stessi problemi… anche tuo suocero…?
Allora è chiaro. Ah, tuo cognato in più ha un forte esaurimento? Allora è una
cosa seria, ma il motivo?»
«No! Non ci credo; e come è successo? – il volto si fa serio e
lascia trasparire un smorfia di meraviglia –
Ma perché prima di versargli i soldi non si accertava… certo… ovvio. Ed ora non
può più far fronte alle cambiali. Venticinquemila euro?! Caspita, sono una
bella sommetta. No, no, io non posso, non ce li ho materialmente… altrimenti lo
sai…»
«Come sto io? Guarda, adesso non posso parlare, sono nella sala di
attesa del medico ed è pieno di gente, non è il caso che le mie cose personali
le sentano gli altri. Va bene, ti saluto… è stato un piacere. Ciao Maria e
auguri anche per tuo marito Franco e tuo cognato Gioacchino. Ciao».
FINE